Editoriale di Paolo Barichella
Difesa e tutela della biodiversità dei prodotti tipici
dall’attacco della globalizzazione e omogeneizzazione dei mercati
attraverso l’analisi sensoriale e la caratterizzazione morfologica.
Il 5 Giugno 2004, prima di una conferenza sulla tutela dei prodotti
Tipici e Tradizionali ho avuto il privilegio intellettuale di scambiare
alcune idee con il Prof. Carlo Cannella
Parlando di Design, motivavo i miei studi sulla percezione formale
nell’alimentazione riguardanti la coincidenza di metodologia
che gli Chef adottano nelle loro creazioni relativamente alla cultura
di Progetto.
Dall’incontro è emerso che il valore aggiunto attraverso
il quale il Design può garantire la tutela del prodotto tipico
e tradizionale risiede nel potere che la vista ha nell’ordine
cronologico di utilizzo dei sensi.
Sforzandoci di comprendere che l’importanza di un senso in una
degustazione non è necessariamente collegata alla sua successione
cronologica, comprenderemo che in comunicazione tanti e troppi sono
i parametri che determinano l’immagine complessiva di un prodotto.
Occorre ricordare che se in una degustazione il più importante
senso che viene stimolato è il gusto, il primo in termini cronologici
è invece la vista. Questo particolare non trascurabile, determina
l’identificazione primaria di un prodotto con la forma attraverso
la quale si presenta agli occhi dei consumatori.
Il contenitore instaura così un rapporto stretto con il suo
contenuto che si concretizza nel “vestito” manifestato
attraverso il materiale, la struttura, la forma, lo stile, la finitura,
il colore.
In base a questi concetti, la tutela del prodotto tipico e tradizionale
può ricevere un valido apporto proprio dal Design di prodotto.
Tramite norme disciplinari che regolamentano in modo molto preciso
la forma che identifica un alimento è possibile caratterizzare
in modo inequivocabile un prodotto.
L’inconfondibilità della forma permette al prodotto tipico
e tradizionale di essere riconoscibile prima ancora di essere consumato
e tutela il prodotto da frodi e plagi da parte della grande impresa
o del mercato globale.
E’ possibile utilizzare quindi la forma anche come strumento
per la garanzia di differenziazione e difesa dall’omologazione
dei prodotti causata da alcuni gruppi della GDO (Grande Distribuzione
Organizzata).
Utilizzando la forma come marchio d’identità del prodotto
si aggiunge tipicità al prodotto stesso. Per forma non ci limitiamo
al contenitore o al packaging del prodotto ma alla regolamentazione
disciplinare a mezzo policies e linee guida derivate dalla ricerca
di produzione storica dei prodotti, in cui si certifica l’aspetto
morfologico di un prodotto tipico e tradizionale tramite canoni precisi.
La stesura delle guide lines permette inoltre al prodotto di garantire
una certa inalterabilità e riproducibilità dello stesso
nel tempo.
Le norme consentono di creare e applicare uno standard che permette
di mantenere caratteristiche costanti anche se lo stesso prodotto
viene lavorato da consorziati diversi.
La forma è determinata da vari fattori che spesso vedono interagire
il contenuto con il suo contenitore o interfaccia con l’esterno,
e lo studio che porta alla forma spesso è dettata dalle tecniche
di lavorazione di quel prodotto tipico o tradizionale.
Mi piace ricordare, riguardo l’interazione tra contenuto e contenitore,
che in un determinato periodo storico in Francia vitigni sempre considerati
di scarsa qualità, grazie al cambiamento di tecnologia di lavorazione
del vetro dal soffiaggio allo stampaggio sono diventati lo Champagne.
Una volta stabilita e determinata la forma quale marchio di garanzia
del prodotto o del suo contenitore, elaborate le linee costruttive
che compongono il progetto con relativi raggi di curvatura dimensioni
ecc… tutto viene trasformato in un progetto, un manuale operativo
e una guida, depositati legalmente tramite brevetto di modello ornamentale.
Questo permette la tutela legale del prodotto contenuto e inibisce
l’uso della stessa forma per il commercio di prodotti di più
basso pregio o fattura che sfruttino l’immagine del prodotto
tipico o tradizionale. (Vedi Aceto Balsamico Tradizionale di Modena)
La determinazione delle norme inserite in un manuale, compongono il
disciplinare che fissa e detta gli standard di produzione, confezionamento,
stoccaggio/maturazione/stagionatura, distribuzione e commercializzazione.
Occorre ricordare che non è l’imitazione che danneggia
i prodotti ad alto valore aggiunto, che al contrario ne favorisce
addirittura la diffusione, quanto il plagio completo di marchio e
caratteristiche con truffa ai danni del consumatore convinto di acquistare
il prodotto originale.
Ricordando come dice Cannella, che la tradizione altro non è
che un’innovazione ben riuscita utilizziamo questa chiave per
aggiungere valore al prodotto tipico, anche tramite l’ausilio
della ricerca e della tecnologia che permettono a un prodotto di esprimere
caratteristiche che prima non avrebbe mai raggiunto.
Da una valutazione complessiva generale del mercato produttivo nelle
varie tipologie, si nota in modo chiaro e inequivocabile che mancano
elementi caratterizzanti che contestualizzino la produzione e leghino
le linee di prodotto di ogni singolo produttore.
Serve un parametro fisso che identifichi con forza espressiva la produzione
delle singole imprese, valorizzando il family feeling dei prodotti
e delle linee di comunicazione formale.
La produzione settoriale differenziata delle varie tipologie di prodotti
deve mantenere un coordinamento dell’offerta in grado di penalizzare
in modo automatico il mercato della copia da parte di produttori "pirata"
orientali e aggressivi mercati emergenti.
L'elemento caratterizzante facilita la comunicazione identificando
in modo inequivocabile il Brand e contestualizzando un prodotto, valorizzando
la continuità stilistica nel Design.
L’elemento caratterizzante può essere ricercato nelle
radici di un territorio (tipicità), in un particolare processo
produttivo o nella storia dell’azienda stessa.
La ricerca iconografica deve essere svolta su valide basi storiche
e culturali, oppure ancora decidere un nuovo elemento che possieda
una forza geometrica espressiva tale da divenire vessillo della produzione
dell'azienda nel tempo.
Stabilita la forma geometrica degli elementi caratterizzanti, essi
vengono trasmutati in regole geometriche da depositare legalmente
in un disciplinare di produzione, in modo da rendere difendibile la
produzione di una linea stilistica.
La differenza tra un prodotto che mantiene una continuità stilistica
e uno che lascia poca traccia nella storia del design risiede proprio
nella forza espressiva determinata dalla ricerca culturale e formale
di base.
Tutti i prodotti che rimangono nella storia del Design, progettati
da grandi maestri possiedono una riconoscibilità degli elementi
caratterizzanti (nelle forme, materiali o particolari costruttivi)
dello stile del progettista o del Brand che li ha prodotti.
La creazione degli elementi caratterizzanti avviene per stilizzazione
di elementi complessi, grazie a regole derivate da stili come il minimalismo
grafico, il purismo, il funzionalismo e l'essenzialismo.
I processi che portano alla riconoscibilità dell'iconografia
nell'immaginario collettivo, riconducendola all'elemento iniziale
garantiscono il successo della ricerca formale applicata.
I risultati della ricerca vanno catalogati e inseriti sotto forma
di regole applicate al Brief di progetto assegnato a un professionista,
in una BIBBIA che è il manuale di immagine coordinata applicata
al prodotto.
L’arma che paesi di antiche tradizioni come l’Italia possiedono
per combattere la proliferazione della globalizzazione dei mercati
monopolizzati dai grandi Brand multinazionali è la differenziazione
dei prodotti puntando sulla loro tipicità.
Legando in maniera indissolubile il prodotto al suo territorio si
determina l’impossibilità di realizzarlo altrove.
L’iconografia in tutto ciò ci viene d’aiuto, forme
e simboli, unite a materiali “autoctoni” possono differenziare
la produzione rendendola appunto tipica e non riproducibile altrove.
In conclusione valutiamo che molte imprese Italiane necessitino di
marchi istituzionali e di prodotto, norme disciplinari di produzione
nuove e forti in grado di generare linee di prodotti innovativi e
soprattutto legati da un family feeling per mezzo di una guide line
che fissi le regole di Comunicazione, Grafica e Design.
La vista è il nostro senso primario, ma è anche quello
che più ci condiziona in una valutazione polisensoriale.
Sin dall’infanzia siamo abituati a valutare un cibo a vista,
e basta un occhiata per stabilire a priori il tipo di gradevolezza,
mi piace non mi piace.
Questo fenomeno è ciò che definisco pigrizia sensoriale,
fenomeno di superficialità culturale che porta alla perdita
di sensazioni ed emozioni.
Il tatto ci protegge da cose troppo calde che potrebbero danneggiare
l’organismo, l’olfatto ci permette di percepire odori
sgradevoli tipici di un alimento avariato e il gusto consente di fornire
gli ultimi dati per dare il nulla osta all’assunzione del cibo.
La vista, in quanto il primo dei sensi chiamati all’esame, influenza
la scelta dell’alimento stimolando la sfera dell’affettività
che porta l’individuo a fare un’analisi in base all’esperienza
acquisita.
Se già a vista il prodotto in esame non ci convince, il resto
dell’esame sarà necessariamente influenzato. E’
esplicativo e chiarificatore il comportamento dei bambini di fronte
ad un piatto nuovo che non hanno mai conosciuto prima.
Il bambino immagazzina esperienze e tende come riflesso incondizionato,
in base all’istinto di sopravvivenza, a rimanere nella sfera
del certo per evitare che cose nuove e diverse, estranee, possano
apportare potenziali rischi all’organismo. Tutto ciò
che è abituale, precedentemente provato e assunto senza problemi,
è ritenuto sicuro e non pericoloso, quindi certo.
Se si riesce a superare i meccanismi naturali di protezione e si cerca
di assaggiare e provare cose diverse si può godere di un accrescimento
di informazioni che aumentano il nostro bagaglio culturale e consentono
di valutare le differenze tra prodotti vivendo nuove emozioni.
Si può paragonare il fenomeno prendendo ad esempio chi evita
di viaggiare per paura di volare: Queste categorie di persone pur
rendendosi conto del valore di ciò che possono perdersi in
termini di apprendimento e accrescimento personale, evitano il viaggio
accettando l’impossibilità di vedere e conoscere in prima
persona località e culture diverse che ampliano gli orizzonti
e la visione del mondo. Tuttavia, in molti individui quando la paura
di poter subire dei danni è più forte del desiderio
di conoscere allora induce alla rinuncia.
Accontentarsi della vista quindi per valutare un prodotto, può
portare a preconcetti e a valutazioni sommarie, certo, è un
senso fondamentale che come dimostrato ci difende da esperienze negative,
ma occorre saperlo controllare e dominare attraverso la conoscenza.
Occorre capire come l’importanza della vista in valutazioni
polisensoriali di prodotto vada dimensionata e pesata.
A seconda del tipo di prodotto che si esamina, i sensi dovrebbero
intercorrere senza influenzarsi l’uno con l’altro. Se
un prodotto in esame è stato realizzato con lo scopo di servire
l’uomo, la componente più importante sarà l’interazione
con esso (ergonomia) quindi il senso più importante che verrà
sollecitato sarà il tatto.
Se un prodotto è commestibile certamente il gusto sarà
la componente sensoriale più importante, tuttavia è
bene notare che in ordine cronologico è solo l’ultimo
dei sensi che viene stimolato.
In questa situazione l’ordine di tempo influenza in modo pesante
l’esaminatore non allenato che se non è in grado di scindere
le valutazioni tra tutti i sensi sarà influenzato dall’evolversi
dei sensi.
Prima di arrivare al gusto c’è il rischio che tutti gli
altri sensi abbiano già deciso e condizionato il valore del
prodotto.
Cambiare un punto di vista, spesso può allargare la visione
del mondo, guardare la terra dal centro di una pianura, dalla cima
di una montagna o da un satellite orbitante cambia notevolmente la
percezione e la visione delle cose.
Allo stesso modo, valutare un prodotto variando i punti di vista e
l’ordine con il quale comunemente siamo stati abituati a fare
può fornirci piacevoli sorprese e nuove emozioni.
Per consentire una corretta valutazione di un prodotto è necessario
porsi in una condizione di decontaminazione da preconcetti in una
logica di decondizionamento formale determinato dalla pigrizia sensoriale
dettata dal senso della vista.
Per porsi in modo corretto nei confronti di un prodotto è necessario
utilizzarlo in situazione di inibizione temporanea del senso della
vista e di tutti i sensi che normalmente utilizzeremmo in una logica
temporale.
Fruendo del prodotto utilizzando tutti i sensi in modo opposto alla
logica temporale ci si avvicina alla logica dell’indipendenza
sensoriale che sta alla base della filosofia polisensoriale.
La percezione inversa introduce il metodo di valutazione tramite l’ordine
di importanza dei sensi.
Il processo di valutazione inversa consiste nell’utilizzo di
una scheda di valutazione nella quale per esempio, l’analisi
sensoriale del rapporto ergonomico prodotto/utente parte dall’area
tattile alla cieca con valutazione ergonomia prima di quella formale.
La logica di produzione parte dall’analisi delle esigenze del
mercato, a cosa serve un prodotto, in che modo possa soddisfare il
gusto, il rapporto che deve mantenere con l’utente, fino ad
arrivare per ultimo all’aspetto esterno del contenitore…
il packaging.
La logica di comunicazione di un prodotto invece tende a trasmettere
appeal per mezzo del packaging (arte di indurre un consumatore a prelevare
da uno scaffale un prodotto piuttosto che un altro) percepito tramite
il senso della vista, poi interviene il tatto appena si interagisce
in modo diretto tramite il contatto fisico con il prodotto tramite
il suo contenitore, si ascolta la quantità e densità
agitando la scatola, una volta a casa si annusa il contenuto e se
tutti i sensi precedenti hanno dato il benestare si gusta e si mangia…
Il processo di valutazione inversa riporta la stima di un prodotto
all’analisi fatta nella fase di produzione, cercando di capire
se i parametri erano corretti e sono stati rispettati.
Il packaging è un elemento condizionante che serve come mezzo
per attrarre un consumatore.
Utilizzando questo concetto in senso positivo si può dedurre
che il packaging, spesso realizzato con il prodotto stesso, potrebbe
diventare il primo elemento di garanzia della qualità del prodotto
contenuto.
Come abbiamo detto la disposizione e l’ordine cronologico dei
sensi non determina necessariamente la loro importanza.
Parametro fondamentale per comprendere e applicare la filosofia polisensoriale
è l’applicazione del concetto di indipendenza dei sensi.
Tramite la separazione, l’ordinamento e la diversificazione
cronologica nell'uso dei sensi; sensazioni visive, tattili, auditive,
olfattive, gustative è possibile arrivare a valutazioni più
oggettive.
La filosofia della polisensorialità che sto analizzando e sperimentando
si basa sulla diversificazione dell’ordine degli strumenti percettori
non più cronologico ma d’importanza.
Per ogni tipologia di prodotto è necessario fissare prima l’ordine
in base all’importanza che ogni singolo senso ricopre nella
valutazione e ciò prevede ovviamente una corretta educazione
sensoriale.
Prodotti in genere (prima della bocca):
1) Vista: Valutazione percettiva di composizione e interazione forme/campo/volumi/colori
2) Tatto (servendosi di mani e i polpastrelli delle dita): Ergonomia,
trattamento delle superfici percezione delle forme, delle texturizzazioni,
liscio rugoso satinato, delle consistenze.
3) Udito: Talvolta si sottovaluta il fatto che alcuni prodotti producono
suoni specifici e caratterizzanti. Per mezzo del campionamento e riproduzione
di rumori/suoni si possono percepire i materiali e le consistenze
(battere con le nocche della mano per capire i pieni e i vuoti). E’
possibile per sintesi Holofonica trasmettere emozioni ricreando un
aura su determinati suoni caratteristici durante l’analisi.
4) Olfatto: percezione degli aromi dei profumi e dei sentori emanati
dal prodotto.
Prodotti alimentari (in bocca):
5) Udito: Varietà di suoni e rumori caratterizzanti, percepibili
durante la masticazione (livelli di durezza e croccantezza).
6) Tatto: Sensazioni tattili al palato, (freddo caldo, morbido duro,
soffice fragrante, molle croccante, denso liquido, fluido viscoso,
piccante, pungente, astringente, consistenza, ecc...)
7) Gusto: intensità, concentrazione degli aromi, dolce, salato,
amaro, acido, sapido, armonia ed equilibrio dei sapori. (al gusto
vengono associate alche le sensazioni gusto-olfattive di carattere
retronasale)
L’ordine di importanza dei sensi varia a seconda del prodotto
che viene valutato.
Prima di effettuare un esame si devono ordinare i percettori partendo
da quello che riveste più importanza, successivamente si procede
in modo separato alla valutazione tramite ogni singolo percettore.
Grande importanza nella scelta dell’ordine riveste il rapporto
forma/funzione in una tipologia di prodotto che si andrà ad
esaminare. Perché è stato prodotto, quale esigenza primaria
doveva soddisfare?
ad es:
prodotto alimentare tipico 7 - 6 – 5 – 4 – 3 –
2 – 1
Impianto Stereo 3 – 2 – 1
Sedia o poltrona 2 - 4 – 3 – 1
Un profumo 4 – 2 – 1
Acquistare una sedia o poltrona da catalogo senza averla provata
è uno degli errori più comuni che capita anche agli
Architetti, che sicuri della propria esperienza visiva premiano o
condannano un prodotto senza averlo provato o usato.
Una scorretta educazione dei sensi non è l’unica causa
di un cattivo esame polisensoriale, una componente non tangibile,
ma che possiede un enfasi tale da influenzare in modo devastante la
valutazione oggettiva, è l’Aura.
Il concetto di Aura è piuttosto ampio e profondo, ma nel nostro
caso per facilitare la comprensione diciamo che è la percezione
del sesto senso che stimola l’affettività provocata dall’ambiente
in cui si effettua la valutazione, messo in relazione con le emozioni
e sensazioni che ci trasmette.
Un vino del Chianti degustato nella zona del Chianti ci appare più
buono perché psicologicamente siamo maggiormente predisposti
a degustarlo nel suo territorio tipico di produzione, inoltre, se
lo assaggiamo in una cantina sono diverse l’emozioni e le sensazioni
che ci provoca, rispetto ad un locale di una stazione di periferia
affollata…
La valutazione di un prodotto deve essere più obiettiva possibile,
per fare ciò è necessario che l’esaminatore sia
il più imparziale possibile.
Il giudice deve avere una serenità culturale che lo mette in
grado di valutare le diversità e ed un allenamento polisensoriale.
Esistono 3 principali aree di concetto che subentrano in una logica
valutativa, per meglio trasmettere i concetti ricorrerò ad
un esempio fatto su un limone:
Oggettività: il limone è acido (indiscutibilmente
e facilmente si può dimostrare chimicamente)
Soggettività: il limone a seconda della sensibilità
risulta più o meno acido (un soggetto percepisce l'acidità
con una sola goccia, per un altro ne servono 5)
Affettività: il limone non mi piace, preferisco
la fragola (le opinioni personali sono tutte rispettabili ma non rientrano
in una logica di valutazione sensoriale)
Marchio, etichetta, nome, sono elementi che trasmettono sicurezze
e rientrano nella sfera dell’affettività costruendo l'Avatar.
Come spiegato nel concetto della pigrizia sensoriale, il marchio è
sinonimo di garanzia, pertanto a prescindere dal resto protegge psicologicamente
il consumatore collocandosi nella sfera delle cose certe (sicure).
La soggettività esiste ma va messa in rapporto con la media,
quindi su un campione di 100 giudici di cui 50 dicono 4 e 50 dicono
6 avremo una media di 5. Una volta fissata una media, il giudice dovrebbe
tarare la sua soggettività su quella media (taratura del panel),
un po’ come i violinisti che cercano di avvicinarsi tutti l’uno
con l’altro accordando lo strumento su una nota comune.
Tutti gli elementi condizionati generalmente appartengono alla sfera
dell’affettività, tanto più un giudice ha suoi
questi concetti e riesce a separare la sua affettività e soggettività
in una valutazione, quanto più l’esame risulterà
imparziale e corretto.
La nostra psiche tende a far scattare dei meccanismi automatici di
difesa che si concretizzano nella paura del diverso, ciò ci
spinge a tenere fuori dalla nostra sfera tutto ciò che non
conosciamo, estraneo alla nostra sfera di certezze che potrebbe provocarci
ansie e paure.
Questo è il concetto di superficialità, che ci mette
in condizione di allontanare tutto ciò che è ritenuto
un potenziale rischio o che richiede uno sforzo… l’approfondimento.
La pigrizia sensoriale di cui abbiamo parlato poco fa è una
conseguenza naturale di questo fenomeno.
Cultura è rispetto e valutazione della diversità come
forma d’apprendimento.
Tutto ciò è giustificato dalla conoscenza che abbiamo
della funzione dei sensi come strumenti di difesa dai pericoli che
ci circondano.
La paura di fare nuove esperienze è individuata come la causa
dell’uniformazione del gusto cavalcata dalle grandi multinazionali
del fast food e del gusto per monopolizzare i mercati.
Il fatto di poter trovare un gusto ed una qualità costante
anche se medio bassa crea una sicurezza e genera tranquillità
negli individui. E’ facile comprendere come la forza delle Holding
monopoliste stia nell’applicazione di questo concetto primordiale
applicato alle masse.
Questo fenomeno fa in modo di accontentarsi e chiudere la mente subendo
la proposta, con il rischio di arrivare ad una routine sensoriale
provocata dalla mancanza di sensazioni, che lentamente porta all’appiattimento
e alla noia.
Le grandi multinazionali usano le ricerche di mercato per valutare
il gradimento di un alimento al gusto dei potenziali clienti, cercando
di rendere più appetibili alcune determinate tipologie di alimento
rispetto alla concorrenza tramite trucchi psicologici. Investono la
maggior parte dei profitti nell’espansione del proprio Brand
a discapito dei prodotti tipici che non hanno la forza economica di
difendersi da questo attacco.
La causa che nel lungo periodo può provocare un fenomeno di
questo tipo, è la diminuzione dell’esigenza di muoversi
alla ricerca del prodotto tipico di una località in quanto
l’individuo può trovarlo (seppur con caratteristiche
ovviamente diverse) e consumarlo ovunque.
Portare i prodotti tipici di una zona in altri paesi deve essere visto
come un atto di promozione, non come la possibilità di evitare
di recarsi nella sua zona di origine.
La possibilità di trovare un prodotto tipico come l’Hamburger
in ogni parte del mondo rischia per assuefazione, di diminuire l’Aura
provata nel momento della sua consumazione nel luogo d’origine,
e quindi il senso di soddisfazione.
Gustare un prodotto nel suo luogo tipico di produzione aumenta l’Aura
contestualizzata dall’ambiente che circonda, poter leggere gli
elementi caratterizzanti in altri ambiti rispetto a quello che ha
generato la cultura alimentare, permette di vivere un’emozione
superiore creata da più elementi che intercorrono nella formazione
di quel momento.
La riconoscibilità di un ambiente che ha generato quel prodotto
è sicuramente un valore aggiunto che procura una sensazione
maggiore nella valutazione del prodotto stesso.
Il teorema della paura nel fare nuove esperienze è dimostrato
dal fatto che chi teme di viaggiare spesso è la stesso individuo
che si rassegna alle certezze sensoriali dettate da esperienze già
acquisite.
Questo individuo sarà portato a preferire di gustare un prodotto
in un ristorante etnico nel proprio paese piuttosto che recarsi nella
località tipica dove è nata quella cultura alimentare,
o peggio ancora a ricercare le proprie sicurezze in posti e culture
lontane dalla propria.
Valutare ed apprezzare le diversità tra le varie culture anziché
cercare di imporre la propria può arricchire la cultura personale.
Se possiamo ancora dire che preferiamo la nostra cultura rispetto
ad un’altra è perché esiste ancora la possibilità
di metterle in confronto. Se invece in tutto il mondo vi fosse un
solo modello culturale imposto dalla globalizzazione non potrebbe
più esserci il confronto. Vedendo lesi uno dei primi diritti
dell’individuo, quello di scelta.
L’arma che paesi di antiche tradizioni hanno per combattere
la proliferazione della globalizzazione dei mercati monopolizzati
dai grandi Brand è la differenziazione dei prodotti puntando
sulla tipicità.
La politica di perseguire il modello occidentale da parte di mercati
orientali porta solo alla filosofia del nulla.
la cultura orientale anziché differenziare la proposta puntando
sulla valorizzazione del proprio prodotto basato sulla propria storia
e tradizione, si sforza di copiare prodotti frutto di processi storici
e culturali che hanno portato altri ad arrivare a quei risultati.
Il Design Europeo ha una caratterizzazione fortissima dettata dal
territorio, è imprescindibile il fatto che movimenti come il
Bauhaus o fenomeni come il Made in Italy sono nati e si sono sviluppati
in Europa.
Secoli di storia e cultura hanno permesso all’Italia e ai paesi
Europei, passando per movimenti come l’Umanesimo e Rinascimento
fino ad arrivare ai giorni nostri di giungere ad un processo evolutivo
della forma, dello stile e del gusto nel Design.
Ogni realtà territoriale che ha sviluppato una cultura propria
è riuscita a caratterizzare le proprie radici partendo dalla
lingua, fino alla musica, all’arte e gli usi e costumi locali;
Perché non dovrebbe essere così anche per il Design?
Ogni paese dovrebbe individuare gli elementi caratterizzanti che identificano
il processo evolutivo percorso dallo stile e dal gusto nei secoli
di tradizione, un patrimonio legato indissolubilmente alle radici
di un territorio.
Sarebbe come prendere un vitigno autoctono ed esportarlo dalla sua
zona in una terra diversa e lontana, qualsiasi enologo o sommellier
può in modo elementare spiegare il risultato…
Differenziamo la globalizzazione mantenendo le diversità che
possono arricchire la proposta sui mercati facendo in modo che produttori
emergenti ed aggressivi come i Cinesi, anziché danneggiare
il mercato sfruttando il fatto che la libera concorrenza ha regole
solo per gli altri, possano proporre prodotti frutto di analisi e
processi evolutivi basati sulle proprie tradizioni e cultura.
Il Parmigiano Reggiano si può gustare in tutto il mondo ma
si può fare solo nella sua zona DOP.
Identifichiamo e trasmettiamo il valore aggiunto dal Made in Italy
e ora che siamo in Europa del Made in Europe traendo beneficio da
ciò che gli altri nonostante si sforzino di copiare non potranno
mai avere. La storia; è e forma il DNA dei popoli, mentre in
Italia c’era il Rinascimento in Cina si sono sviluppati approcci
con la forma e l’immagine estremamente diversi. Uno non è
meglio dell’altro, sono semplicemente diversi, questo permette
ad un Cinese di apprezzare le diversità del risultato di culture
che nella stessa epoca sono partite con gli stessi strumenti ed hanno
raggiunto risultati così differenti, e ad un Toscano di poter
godere di una cultura diversa dalla sua nel momento in cui volesse
visitare la Cina.
Se in Toscana ed in Cina si fosse arrivati a identici risultati di
stile, gusto e scoperte che senso avrebbe viaggiare per scoprire il
valore della diversità intesa come ricchezza e non come pregiudizio?
Più che a sforzarsi di proteggere i propri prodotti, gli imprenditori
Italiani dovrebbero sforzarsi di proteggere ciò che è
il bene primario; la propria cultura, la storia, le tradizioni…
La tipicità
Lavorando sul Marketing delle partnership extrasettoriali per un’azienda
che produce sedie in Friuli (l’80% della produzione in Italia
e il 50% in Europa arriva dal triangolo della sedia di 3 comuni in
provincia di Udine) tramite il Food Design abbiamo studiato le analogie
che nel territorio Friulano determinano prodotti tipici e tradizionali.
Abbiamo individuato nel Frico, grazie alle sue caratteristiche di
modellabilità nella termoformatura il prodotto tipico ideale
per creare un piccolo modello di sedia che possieda la caratteristica
di trasmettere i concetti espressi precedentemente.
Legare il prodotto al suo territorio: La sedia autoctona. Questo piccolo
simbolo ci permette di dimostrare che la stessa cosa non ha senso
ricreata al di fuori del territorio Friulano…
Premettiamo che per sedia intendiamo la progenitrice che ha generato
i presupposti dell’espansione del mercato della sedia in Friuli,
non tutto il mercato della sedia che ha ormai caratteristiche universali
nel panorama produttivo mondiale. La sedia tradizionale e storica
come simbolo di partenza della ricerca che ha portato il territorio
dei comuni facenti parte del triangolo della sedia ad essere oggi
quello che sono agli occhi del mondo.
Questa iniziativa potrebbe essere appoggiata e sostenuta dalle autorità
come enti associazioni e consorzi e divenire simbolo di un nuovo modo
di pensare al protezionismo delle proprie tradizioni.
Le partnership extrasettoriali tra prodotti tipici dello stesso territorio
possono dare una valenza superiore all’azione promozionale in
modo trasversale, supportandosi a vicenda e valorizzando in maniera
superiore il territorio di produzione dei prodotti.
Prendendo ad esempio il Frico e la sedia nel territorio Friulano (e
in particolar modo nella provincia di Udine) possiamo valorizzare
con un'unica azione (fiera del mobile) 3 prodotti tipici del territorio
Friulano: La sedia, il formaggio Montasio, e la lavorazione del Frico.
Questo tipo di azione permette a istituzioni che investono su più
prodotti di veicolare gli investimenti su un prodotto avendo l’altro
che fa da traino.
Paolo Barichella
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Carlo Cannella: Caro Paolo, grazie dell'invio del tuo elaborato che
affronta vari temi, alcuni a me molto cari, quali ad esempio la "tipicità"
di un prodotto alimentare di cui tutti parlano e che nessuno ha mai
definito.
Il D. Min. (MIPAF) n. 350/1999 definisce il prodotto alimentare "tradizionale"
come quello "le cui metodiche di lavorazione, conservazione e
stagionatura risultano consolidate nel tempo, almeno da 25 anni".
L'appellativo "tipico" invece può essere usato per
qualsiasi alimento e chiunque può usare questo aggettivo nell'etichettatura
di un prodotto alimentare, con rischio di ingannare il consumatore
ignaro delle sottigliezze lessicali!
Ciò perchè il termine "tipico" viene tropo
spesso usato per indicare un legame con il territorio che può
limitarsi anche ad una sola fase del processo di produzione, ad esempio
la lavorazione e non dice nulla sull'origine della materia prima e/o
sulle altre fasi del processo.
Sono pienamente d’accordo con te che il concetto di tipico implica
invece la possibilità di identificare l'alimento e/o l'oggetto
in questione già dal suo incarto, dalla forma, dal colore,
etc. e conferirebbe al prodotto una identità cioè una
conformità o meno ad uno standard che oltre a rispondere a
certi parametri esterni sensoriali sia pure sicuro all'interno!
Per i prodotti alimentari ormai si è abituati ad abbondare
in aggettivazioni: di qualità, tipici, tradizionali, biologici,
biodinamici, etc. ma ancora manca un decreto legislativo per organizzare
e coordinare la promozione dei prodotti agroalimentari (a me interessano
questi) italiana, e dire che avremmo molto da proteggere!
Ritengo che le tue riflessioni siano interessanti ed attuali e meriterebbero
di essere pubblicate anche su rivista scientifica.
Ti ringrazio per le parole di apprezzamento per la mia persona e ti
chiedo scusa per il ritardo con cui ti rispondo ma non volevo leggere
superficialmente il tuo scritto che ti ripeto è molto valido
ed attuale.
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Carlo Cannella - Professore ordinario di Scienza dell’alimentazione,
nato a Roma il 21 ottobre 1943
Professore ordinario di Scienza dell'Alimentazione presso l'Università
La Sapienza di Roma (Facoltà di Medicina e Chirurgia) ove è
Direttore dell'Istituto di Scienza dell'Alimentazione e della Scuola
di Specializzazione in Scienza dell'Alimentazione; Presidente dei
Corsi di Diploma Universitario di Dietista nelle sedi sussidiate dell'Azienda
Ospedaliera S.Camillo - Forlanini e della ASL RM/E (Ospedale S. Spirito).
Professore ordinario di Scienza dell'Alimentazione nella Ia Facoltà
di Medicina e Chirurgia dell’Università "La Sapienza"
di Roma ove è Direttore dell’Istituto di Scienza dell’Alimentazione
e della Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione;
Presidente del Corso di Laurea di “Dietista” nella sede
sussidiata dell’Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini. Nel
1996 viene eletto nel Senato Accademico integrato, come rappresentante
dei Direttori di Istituto, e successivamente confermato in tale incarico
nel 2001.
Dal 1970 è socio ordinario della Società italiana di
biochimica e, dal 1986, della Società Italiana di Nutrizione
Umana dove ha anche ricoperto la carica di segretario generale nel
triennio 1991-93.
Dal 1995 è membro dell’Accademia Romana di Scienze Mediche
e Biologiche e dal 2003 è Socio Corrispondente della Classe
Storico Biologica dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria.
Dal 1995 è consulente di RAIUNO per la trasmissione “Superquark”
condotta da Piero Angela e più di recente con il TG2 salute
diretto da Luciano Onder.
Nel 1996 viene eletto nel Senato Accademico Integrato, in rappresentanza
dei Direttori di Istituto, per la preparazione del nuovo Statuto che
è stato approvato il 22 gennaio 1999.
È socio ordinario della Società Italiana di Biochimica
dal 1970 e della Società Italiana di Nutrizione Umana dal 1986;
in quest'ultima ha ricoperto la carica di Segretario generale nel
triennio 1991-93.
Dal 1998 fa parte di un gruppo di esperti del MURST (Ministero delle
Università della ricerca scientifica e tecnologica) per la
selezione e la verifica dei progetti di ricerca nel settore Agroalimentare.
Nel 2001 viene designato dal MURST nella Commissione di esperti per
la selezione dei progetti di ricerca di interesse strategico nel settore
delle Agrobiotecnologie. Nel 2002 viene designato dal MIUR nella Commissione
per l’istruttoria dei progetti di ricerca presentati sul Programma
Operativo Nazionale 2000-06 per le Regioni dell’obiettivo 1
del territorio nazionale, nel settore Agro-Industria..
dal 1998 è socio onorario della SIO: Società Italiana
dell’Obesità.
ATTIVITÀ SCIENTIFICA
Si è interessato principalmente di metabolismo dello zolfo
inorganico e del selenio, degli aminoacidi solforati e delle modificazioni
delle proteine alimentari durante i processi di conservazione. Ha
condotto ricerche sul rapporto struttura - funzione in proteine ad
attività catalitica quali la cisteamina ossigenasi, la glutamico
ossalacetico transaminasi e la rodanesi (solfotransferasi mitocondriale);
in particolare gli studi su quest'ultimo enzima hanno contribuito
a chiarirne il ruolo nel metabolismo degli xenobiotici. Recentemente
ha svolto studi sulla dietetica delle collettività (scuole
e ospedali), sulle abitudini alimentari e sullo stile di vita di popolazioni
di anziani e di impiegati in relazione all'esposizione al rischio
di malattie cardiovascolari.
I risultati di tale attività sono stati oggetto di più
di 70 lavori scientifici pubblicati in gran parte su riviste internazionali
a cui si aggiungono numerose relazioni e comunicazioni a congressi
e simposi. In collaborazione con Giovanni Carrada ha scritto un testo
divulgativo I miti dell'alimentazione pubblicato dall'Editore Salani
(Firenze). Ha in corso di stampa un testo di Fondamenti di Nutrizione
Umana di cui è Editore insieme con Aldo Mariani - Costantini
e Gianni Tomassi (Il Pensiero Scientifico Editore, Roma).
In nutrizione umana ha svolto indagini sulle abitudini alimentari
e sullo stile di vita di popolazioni di anziani e di impiegati in
relazione all’esposizione al rischio di malattie cardiovascolari.
Si è interessato di ristorazione collettiva sia ospedaliera
che scolastica con particolare attenzione alle problematiche dietetiche
e tecnologiche. Di recente ha svolto ricerche sul consumo di integratori
alimentari, sugli alimenti funzionali e sull’influenza del colore
nella scelta alimentare.
I risultati di tale attività sono stati oggetto di oltre 100
lavori scientifici pubblicati in gran parte su riviste internazionali
a cui si aggiungono numerose relazioni e comunicazioni a congressi
e simposi.
Nel giugno 1999 l’Istituto di Scienza dell’Alimentazione
diretto dal prof. Cannella viene designato dalla FAO come Centro d’Eccellenza
per la Qualità, la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione.
Con Decreto del 31.01.2001 del MURST (Ministero dell’Università
e della Ricerca Scientifica e Tecnologica) l’Istituto di Scienza
dell’Alimentazione fa parte del Centro di Eccellenza per la
ricerca scientifica in “Biologia e Medicina Molecolare”
dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Il prof. Cannella, in collaborazione con Giovanni Carrada, ha scritto
un testo divulgativo “I miti dell’alimentazione”
pubblicato dall’Editore Salani (Firenze, 1997) e ristampato
nel 1999 dalla TEA (Milano);
- è autore di una monografia “Che cosa mangeremo”
nel libro “Riflessioni sul futuro: la vita al 31.12.2019”
edito nel 1999 dalla Bayer spa in occasione del centenario della Bayer
in Italia.
- è coautore con Aldo Mariani-Costantini e Gianni Tomassi del
testo “Fondamenti di Nutrizione Umana” (Il Pensiero Scientifico
Editore, Roma, 1999).
CONSULENZE
Negli ultimi anni ha svolto incarichi professionali inerenti la Scienza
dell'Alimentazione e la Dietetica delle collettività in diverse
amministrazioni pubbliche: Banca d’Italia, Italcable, ENI, Ferrovie
dello Stato, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, Comune
di Roma, ADISU “La Sapienza” di Roma, Università
LUISS, Provincia di Livorno, INAIL, INPDAP, USL, RM6, USL RM12, USL
FR7, ASL di Rieti, ASL di Grosseto, ASL di Cremona, ASL del Friuli
Orientale, Azienda Ospedaliera di Padova, Ospedale Civile di Brescia,
Ospedale S.Martino di Genova, CONI Scuola dello Sport.
Grandinotizie.it/ 15/aprile/2002 - Archivio Rai